9.02.2004

Logo-diversità: la parabola organicista non ci stancherà mai

Sto per cominciare un’elegia della diversità. Si ritengano avvisati tutti i cultori del pensiero dominante, gli alfieri del buon senso comune e della prudente sensatezza. Del resto cosa altro potevate aspettarmi da me, dal liceale fulminato dal ‘credo quia absurdum’ di Tertulliano, dal pazzo conclamato secondo il consensum gentium decretato dal mio amico Guido, da uno che ascolta e riascolta ‘Disperato erotico stomp’ sperando che prima o poi gli riesca l’impresa eccezionale di essere normale.
Temo si tratti di una questione di DNA, alcuni normali non sono nati, ed è bene se ne facciano una ragione. La scienza ci insegna che apparteniamo tutti alla comune specie del homo sapiens sapiens. Ma questo insegnamento serve solo a ricordarci che la scienza ha sempre un urgente bisogno di rinnovamento e di progresso.
Per quanto possano tentare di sembrare uguali agli altri, per quanto si possano sforzare di confondersi nella massa come i “men in black” hanno veramente assai poche speranze di successo. Anzi direi alte probabilità di farsi male sul serio, quanto meno psichicamente intendo.
Ora miei cari, forse vi chiederete, perché mi accingo a cantare l’ode degli strani, degli eccentrici, dei pazzi, degli eretici, dei fool, dei geek, dei freak, degli weird [ci siamo capiti insomma]? Per pure spirito di corpo? Ancora la vecchia storia di ‘Cicero pro domo sua’? No, non sono proprio il tipo. Se non vi fidate chiedete a mia madre… (spero che almeno lei mi reggerà il gioco).
A dire il vero, un demone antico mi spinge, una suggestione che attanaglia le menti ottenebrate dell’umanità sostanzialmente da sempre: la parabola organicista, ossia l’idea che i processi mentali e sociali dell’uomo siano assimilabili, spiegabili e rappresentabili ricorrendo al paragone con la fisiologia degli esseri viventi. Insomma dalla parabola delle membra e del ventre di Menenio Agrippa che convinse la plebe di Roma a ritirarsi dalla secessione sull’Aventino e giù di lì fino agli algoritmi genetici e alle reti neurali, la storia del pensiero umano è costellata da idee che riprendono dal funzionamento di esseri biologici per spiegare il funzionamento di qualcos’altro. Cosi gli stati e le istituzioni sono state varie volte assimilate ad esseri vi viventi che nascono, dopo una vigorosa giovinezza entrano nell’età matura, si riproducono (talvolta, come gli individui del resto), inesorabilmente invecchiano e quindi muoiono.
Abbiamo introdotto i due elementi alla base della mia riflessione: la diversità e la similitudine fra le società umane e le dinamiche evolutive dei sistemi fisici e biologici. A questo punto è quasi un gioco da ragazzi illustrare dove voglio andare a parare.
Pensiamo, per esempio, all’emofilia che colpiva i Romanov, o a tutte le malattie genetiche che hanno flagellato per secoli le famiglie nobili europee. E’ risaputo ormai che questi fenomeni erano l’effetto delle politiche matrimoniali fra consanguinei. Più in generale la genetica ci insegna che di frequente dall’incrocio di razze diverse si ottengono frutti particolarmente interessanti, in effetti la moderna agricoltura è basata su questo principio, è difficile pensare ad un singolo cibo sulla nostra tavola che non abbia cambiato drasticamente il suo aspetto nel corso dei secoli. In biologia hanno cominciato ormai da decenni ha imparare a valutare l’importanza della bio-diversità per mantenere la capacità di evolvere e di adattarsi all’ambiente dei sistemi biologici. Di recente persino gli economisti hanno cominciato ad occuparsi del valore economico della bio-diversità con lo scopo di capire quanto è importante preservare incontaminati ambienti naturali come ad esempio le foreste tropicali ed equatoriali. Dal fronte ambientalista poi siamo stati sommersi di rapporti sul ritmo preoccupante ed incalzante con il quale le specie del pianeta stanno scomparendo per via della globalizzazione, dell’accrescersi della penetrazione e dell’intensità dell’attività umana, e cosi via.
Sono certo che avete intuito cosa voglio suggerire: state leggendo il manifesto di un ecologista delle opinioni. Il mio obiettivo è studiare, in silico ovviamente altrimenti che economista computazionale sarei, l’importanza della diversità di opinioni. Quante volte d’altronde abbia detto che le culture diverse sono una ricchezza, che bisogna viaggiare, conoscere nuovi mondi e cose simili. Il mio è solo un tentativo di applicare questa idea ad un sistema economico artificiale. Il laboratorio prescelto è GEM (Modello Economico Generico –è troppo scarso per tentare di chiamarlo generale) un’idea folle alla quale lavoro in qualche modo con l’ottimo Stefano Eusepi, praticamente un fratello, dal 1999 (Quante serate da Burger King per GEM. Non temere Stefano, prima o poi lo finiremo…). Devo ammettere che sono molto fiero di GEM, nonostante praticamente ancora non esista, sono andato addirittura a presentarlo all’instituto di Santa Fe, ma questa è tutta un’altra storia. Per i curiosi piazzo un comodo link al blog di viaggio dove questa storia è raccontata.
In GEM gli agenti, gli attori del sistema economico: lavoratori e imprese, sono sostanzialmente delle macchinette che decidono in base a semplici regole del pollice (“se la temperatura è superiore a X gradi metto il maglione, altrimenti la maglietta” Il primo che dice che è assurdamente troppo semplificato, vince un bel soggiorno premio nel mid-west e poi mi racconta…). Queste regole del pollice sono basate sul alcuni parametri base (che percentuale del reddito consumare e quanto risparmiare, che salario offrire ai lavoratori, etc.). Ciascun agente nasce e muore con i suoi parametri “chi nasce tondo non può morire quadrato”. Se i tuoi parametri fanno si che il tuo comportamento si adatti bene al ciclo economico buon per te, in caso contrario che dirti amico mio, è una vita dura qui fra di noi esseri in carbonio, perché dovrebbe essere cosi diverso fra voi agenti artificiali?
Come sempre la chiave di tutto è l’evoluzione, “la divinità mite che non conosce i suoi figli” secondo Von Hayek, che fa sì che gli agenti economici che non riescono a sopravvivere siano rimpiazzati da altri con parametri diversi.
Una delle proprietà tanto care agli studiosi di scienze complesse è quella della cosi-detta auto-organizzazione, vale a dire la tendenza di un sistema, a prescindere dalle condizioni iniziali nel quale si trova a partire, di trovare una qualche sistemazione che gli consenta quanto meno di auto-perpetuarsi nel tempo e possibilmente di migliorarsi anche. In GEM l’auto-organizzazione viene letta in maniera un po’ riduttiva: assumiamo di decidere a caso i parametri iniziali della prima popolazione di esseri artificiali, riusciranno i nostri eroi a sopravvivere? Li spingerà la sopra-citata evoluzione a fare delle scelte individuali che siano compatibili con la sopravvivenza del sistema nel suo complesso? Emergerà dalla distribuzione iniziale casuale di parametri, una distribuzione interessante? Come sarà fatta? Questo è in super-sintesi il tipo di giochino con il quale ci stiamo divertendo negli ultimi cinque anni. Peccato che le domande che questo tipo di esercizio stimola siano potenzialmente [A parte “ma chi ve lo fa fare?” ovviamente] infinite. Cercherò di restringere il campo a quattro macro-domande che sono quelle maggiormente legate alla logo-diversità:
Meccanismo evolutivo e apprendimento: esiste un trade-off fra la sofisticatezza della razionalità degli individui ed il livello di eterogeneità necessario per mantenere in vita il sistema economico? In altre parole, se gli agenti fossero meno stupidi e fossero dotati di una qualche capacità di apprendimento sarebbe sufficiente un livello di diversità inferiore (un mondo di Einstein si può consentire la variabilità di un villaggio svizzero?)
Diversità delle opinioni e robustezza: quanto, e come misurare l’impatto positivo dell’eterogeneità nel migliorare l’adattabilità di un sistema economico? Se la crisi del ’29, o gli shock petroliferi si manifestassero in due società che differiscono per il grado di convergenza delle opinioni degli attori come ne risulterebbe influenzata l’economia in termini di gravità della crisi e di velocità per riassorbirla?
Istituzioni e convergenza: fino a che punto le istituzioni spingono verso l’omologazione/ preservano la diversità? Cosa succede in GEM se si altera una regola dell’economia artificiale? Ci si spinge verso un sistema più o meno omologato e perché?
Stato stazionario e omogeneità: lo stato stazionario è un’idea che gli economisti hanno ripreso (grande sorpresa!) dalla fisica. Corrisponde a quell’idea di quieto vivere che si realizza quando tutto si ripete uguale a sé stesso (‘tradition…’ canterebbe Tevye, l’ebreo yiddish di Fiddler on the Roof). Le imprese producono ciclo dopo ciclo lo stesso ammontare di beni, i lavoratori percepiscono i loro salari con i quali non fanno mancare la domande per la produzione, tutto è stabile (o ancor meglio cresce stabilmente) e tutti gli economisti ortodossi teorici sono contenti. Pensate che ce gente che tutta la vita costruisce modelli e magari finisce pure per crederci…. Fine dello sfogo, stavo entrando sul personale scusatemi.
Per le risposte ho una cattiva notizia. Vi tocca aspettare che completiamo il nostro lavoro. Un po’ come quando sulla Salerno-Reggio Calabria vi dicono “Stiamo lavorando per voi”… siete in buone mani non temete ;-).